Scontro “spalla a spalla” tra atleti: quando è esclusa la responsabilità della società sportiva.
Non sono infrequenti infortuni in campo con conseguenze, più o meno gravi, per i giocatori.
In taluni casi la responsabilità può essere ascritta esclusivamente al rischio insito nel praticare lo sport di riferimento; in altri, invece, può essere configurata una responsabilità della società per omesso dovere di vigilanza e mancata adozione delle dovute cautele. Il Tribunale di lecce - in funzione di Giudice d’Appello – svolge un’interessante disamina della questione.
Il caso specifico riguardava lo scontro avvenuto tra due pallavoliste compagne di squadra, all’esito del quale una delle due aveva la peggio riportando trauma distorsivo di un piede e caviglia. Il sinistro avveniva nella fase di riscaldamento pre-partita nell’ambito del campionato di pallavolo under 14.
I genitori della minore infortunata adìvano dapprima il Giudice di Pace competente, il quale però respingeva la domanda, richiedendo alla società sportiva il risarcimento di € 3.020,37. In seconda battuta si rivolgevano al Giudice dell’Appello (in questo caso il Tribunale di Lecce), chiedendo la riforma integrale della Sentenza di primo grado.
I genitori della infortunata lamentavano infatti una cattiva condotta della società la quale, a loro dire, non avrebbe adottato le giuste misure organizzative, nello specifico non aver istruito le atlete sulla condotta da tenere in fase di riscaldamento (debita distanza).
Il Giudice, nel decidere, preliminarmente indica la portata dell’onere probatorio che incombe sulle parti in fase giudiziale. Difatti è sempre il soggetto infortunato che ha l’onere di provare l’altrui fatto illecito, mentre in capo alla società o associazione sportiva incombe l’onere di provare il cd. fatto impeditivo (ovvero non aver potuto evitare il verificarsi del danno, pur avendo predisposto le necessarie cautele). Ciò posto, secondariamente, deve essere verificata l’eventuale responsabilità del precettore o istruttore, analizzando in concreto l’evento.
In pratica all’esito dell’istruttoria occorre domandarsi se l’infortunio stesso possa essere imputabile (I) all’atleta oppure (II) a carenze organizzative o cautelari, oppure possa (III) rientrare nella cd. “scriminante sportiva”.
Sul comportamento dell’atleta: la dinamica accertava il fatto che la compagna di squadra nell’effettuare un palleggio indietreggiava urtando la spalla dell’atleta poi infortunatasi.
Sulle carenze organizzative: era stato accertato altresì che il campo da gioco fosse consono, così come l’abbigliamento delle sportive (elementi che, quindi, non avevano agevolato in alcun modo il verificarsi dell’evento).
Sulla scriminante del “rischio consentito”: si poteva desumere che l’evento dannoso NON fosse avvenuto in conseguenza di un comportamento posto in essere con lo specifico scopo di cagionare il danno.
Le circostanze contingenti, il contatto fortuito e le modalità della caduta, evidenziavano come l'evento dannoso fosse il frutto di una sequenza causale estranea alla sfera di controllo della società convenuta e, pertanto, ad essa non imputabile.
Alcun particolare e specifico rimprovero poteva essere mosso nemmeno all'allenatrice. Se da un lato è vero che in generale l'istruttore ha un dovere di vigilanza che deve essere sempre e comunque commisurato all'età e al grado di maturità pretendibile dagli allievi, dall’altro, nello specifico, l'infortunio si era verificato per effetto di un contatto tra le giocatrici quale evento prevedibile nell'ambito di una partita di pallavolo, non rilevando il fatto che le atlete fossero ancora nella fase di riscaldamento.
In definitiva la società ha visto confermata integralmente la Sentenza di primo grado escludendo ogni e qualsivoglia sua responsabilità.
Avv. Adriano Colomban
Riferimenti: Tribunale Lecce, Sez. I, Sent., 08/04/2021, n. 987